martedì 25 ottobre 2016

MECCANISMI ENERGETICI NELLO SPORT



Meccanismi energetici nello sport
     
Per capire come i vari sport agiscono nelle aree di produzione occorre capire quali sono i meccanismi energetici che sono alla base del gesto atletico.
Il corpo umano possiede diversi processi per produrre energia e i vari sport si distinguono anche in base al meccanismo di produzione di energia privilegiato. Il tipo di benzina impiegato caratterizza la durata e l’intensità dello sforzo sostenibili e quindi determina quali fattori di prevenzione vengono attivati.
Contrariamente a quanto avviene in una casa dove per il riscaldamento si può usare energia elettrica o termica, il nostro corpo impiega una forma meno visibile di energia, quella chimica.
L’ATP
Nell’organismo avvengono centinaia di reazioni, alcune delle quali possono cedere energia mentre altre l’assorbono. L’energia introdotta con gli alimenti non viene usata direttamente, ma impiegata per sintetizzare una sostanza immagazzinatrice di energia, l’ATP (o adenosintrifosfato). Tale energia viene poi ceduta quando l’ATP si lega con l’acqua e viene trasferita per l’utilizzo biologico (per esempio la contrazione di un muscolo).
I processi energetici con cui si sintetizza ATP possono essere aerobici o anaerobici. Un processo è aerobico quando la presenza dell’ossigeno è indispensabile perché esso abbia luogo, è anaerobico quando può avvenire in assenza di ossigeno. La sintesi dell’ATP può avvenire anche in presenza di ossigeno, ma tale presenza non è indispensabile: si parla pertanto di reazione anaerobica.



Un processo energetico è inoltre caratterizzato dalla velocità a cui avviene. I processi che portano alla produzione di ATP derivano dalla conversione dei macronutrienti (carboidratilipidiproteine) e ogni processo arriva al suo scopo (la produzione di ATP) con una sua velocità, parametro di estrema importanza nella fisiologia dello sport, in particolare della corsa.
Il creatinfosfato (CP)
Esiste un altro meccanismo energetico molto rapido, quello del creatinfosfato (CP). Il CP può produrre energia in assenza di ossigeno quando il gruppo fosfato si stacca dalla creatina. Il processo è molto rapido e tipicamente viene usato dalle cellule quando si passa da una bassa a un’elevata richiesta energetica; esempio classico sono le gare di sprint o gli scatti dei calciatori. Per ogni sport e, come nel caso della corsa, per ogni disciplina, cambia la percentuale del processo di produzione dell’energia privilegiato. Per esempio, nel calcio circa il 10% dell’energia spesa in una partita deriva dal meccanismo CP. Nella corsa invece, per distanze superiori a 1500 m, il meccanismo CP è praticamente nullo.
I tipi di meccanismo
Un altro concetto che è bene ricordare subito è che le varie fonti energetiche lavorano in parallelo, non in serie. Ciò significa che, quando diciamo che sono coinvolti carboidrati, grassi e proteine nella produzione di energia per una corsa a una certa velocità, i meccanismi sono contemporanei, non successivi: nella maratona il 20% di consumo di lipidi non inizia quando termina il contributo dei carboidrati, ma nell’atleta allenato alla distanza già dai primi chilometri un 20% dell’energia proviene dai grassi. È per questo che un soggetto che corre i 10000 m che vuole correre una maratona deve allenarsi a bruciare i grassi; con il suo allenamento da specialista dei 10000 m brucerà probabilmente il 5% di grassi e il 95% di carboidrati, con il risultato che arrivato al 30-35 km finirà le scorte di glicogeno e si bloccherà, vittima di una paurosa crisi (il famigerato muro della maratona).

Schematicamente sono cinque i principali meccanismi energetici:
a) meccanismo anaerobico alattacido (del creatinfosfato) in cui si produce energia in assenza di ossigeno, utilizzando processi molto rapidi, ma che non possono durare a lungo (tipicamente una decina di secondi). Viene usato per scatti, salti, attività di potenza come il sollevamento pesi.

b) Meccanismo anaerobico lattacido in cui si produce energia in assenza di ossigeno. Viene usato negli sforzi brevi, ma sufficientemente lunghi da produrre un affanno nella respirazione, per esempio una corsa di un chilometro. Si arriva a una situazione di crisi (dovuta all’accumulo di lattato nel sangue) che costringe il soggetto a diminuire la velocità per ritornare in equilibrio.

c) Meccanismo aerobico glicidico in cui in presenza di ossigeno si bruciano prevalentemente carboidrati. È usato negli sforzi intensi in cui comunque si raggiunge un certo equilibrio, per esempio la corsa di una decina di chilometri.

d) Meccanismo aerobico lipidico in cui in presenza di ossigeno si bruciano prevalentemente lipidi (grassi). È usato in sforzi di modesta intensità (come il jogging parlando tranquillamente) o in sforzi prolungati, dove affianca il meccanismo precedente (come nella maratona). La biochimica insegna che i lipidi non possono essere praticamente utilizzati se finiscono le scorte dei carboidrati (il già citato classico “muro” del maratoneta).

e) Meccanismo proteico in cui si bruciano le proteine per ottenere energia. Come il precedente è un meccanismo che viene usato per ottenere energia quando i carboidrati scarseggiano e diventa tanto più importante quanto lo sforzo è prolungato (per esempio diverse ore). In questo caso si può dire che i muscoli vengono “smontati” per produrre energia.

Ognuno di noi può sfruttare i cinque meccanismi in maniera diversa, a seconda dell’allenamento e delle caratteristiche individuali congenite o acquisite. È importante però notare che ogni meccanismo comporta un’azione diversa nelle varie aree di intervento. Per esempio, se è prevalente il meccanismo CP (come nel saltatore in lungo) sarà massima l’azione dell’efficienza muscolo-scheletrica, ma sarà pressoché nulla la protezione cardiovascolare perché le durate sono troppo brevi per innescare i processi. Il meccanismo anaerobico lattacido può esplicare un’utile azione ormonale, ma una modesta azione sul controllo del peso: gli sforzi e gli allenamenti sono tali da bruciare una quantità tutto sommato modesta di calorie (per esempio non certo paragonabili a quelle di un triathleta). Per fortuna ogni soggetto, nel suo gesto atletico o negli allenamenti che sono finalizzati al miglioramento, non usa un solo meccanismo energetico; ne consegue un beneficio globale che, pur essendo differente da sport a sport, fa preferire, dal punto di vista salutistico, chi fa sport al sedentatario.                 Prof.Giovanni Carleo

venerdì 21 ottobre 2016

Camminare fa bene.

Camminare-dopo-i-pasti-abbassa-la-glicemia-

Lo sport come antidoto a Bullismo e cyberbullismo

Prof. Giovanni  Carleo


Quali sono i pericoli della rete per i giovanissimi?
"Tra le principali insidie c'è quella dell'adescamento online, conosciuto anche come 'grooming', che porta l'autore dapprima con un rapporto amicale con la vittima in rete, sino poi a far diventare la loro relazione sempre più intima",.
"Poi portare la vittima a produrre del materiale vietato avente come protagonista se stesso a cui segue a volte anche un ricatto o una minaccia di divulgare questo materiale su Facebook o mandarlo ai genitori.
"Lo sport può fare tanto, perché toglie i ragazzi dalla strada, dallo stare su internet moltissimo. Perché il bullismo è un fenomeno molto diffuso già da tempo ma il cyberbullismo lo è ancora di più. Dobbiamo aiutare chi è più debole. Lo sport, in questo senso, aiuta chi è più debole e aiuta ad aggregare.
Lo sport e l’ aggregazione sono sicuramente un fatto importante". Consideriamo il bullismo e il cyberbullismo due brutte bestie: è importante conoscerle e capirle per aiutare le vittime a difendersi dai bulli reali e virtuali. Per questo bisogna riflettere sulle cause che portano giovani uomini e donne senza distinzione sociale ad agire con violenza, cattiveria e rabbia verso i propri coetanei, che molto spes­so per vergogna o paura si nascondono nel silenzio e nella sofferenza.
Nello sport quando ci si trova ad affrontare un avversario ci vuole il tempo per conoscerlo, studiarlo, capire le sue tecniche migliori e prepararsi  al meglio per vincerlo; quando si tratta di bullismo e cyberbullismo, invece, la vittima è colta impreparata, anzi molte volte sono le persone più deboli a venir colpite proprio perché fragili e con minori difese.

È importante sensibilizzare i giovani e le loro famiglie al rispetto delle regole, ma soprattutto dell’altro, e non importa quale sia la lingua, la religione, il colore della pelle, se sia un diversamente abile o un normodotato (come si usa dire oggi): l’importante è promuovere lo sport come mezzo di prevenzione riguardo questi temi, portando avanti valori di lealtà, onestà e correttezza.
La famiglia, oltre alla scuola, gioca un ruo­lo determinante: è il primo luogo in cui il ragazzo deve conoscere e imparare regole e valori, perciò è fondamentale che cresca in un am­biente solido e comunicativo. Saper ascoltare i propri figli è il primo dovere di ogni genitore. Importante e fondamentale abituare fin da piccoli i ragazzi a frequentare ambienti sportivi sani, in cui imparino a confrontarsi con gli altri secondo regole ben precise, ad avere obiettivi vincenti raggiungibili con sacrificio e costanza.
Fare sport, aiuterà a crescere in modo più sano e forte, trasformando le paure in punti di forza .



LO SPORT E’ L’ ARMA MIGLIORE CONTRO LE DIPENDENZE
Lo sport ? La migliore arma per chi sta smettendo di bere o di fumare


Ci sono moltissimi studi scientifici che hanno dimostrato che la pratica di uno sport rappresenta la strada più soddisfacente e più sana per raggiungere l’obiettivo di smettere di dipendere da alcuni comportamenti o abitudini nocive come il fumo e l’abuso di alcol. I vantaggi che si possono trarre riguardano sia la sfera psichica che quella fisica. E ciò che più conta è che la pratica dello sport non aiuta solo a smettere di fumare e bere, ma aiuta anche a non ricominciare più, a differenza di altri metodi, anche di provenienza farmacologica.
Ci sono alcune pratiche sportive, specialmente se coadiuvate da attrezzi sportivi specifici, che contribuiscono in modo maggiore e in tempi più brevi: tra queste andrebbe data priorità all’attività fisica sotto forma di aerobica, la cui intensità di lavoro e tempo impiegato nell’allenamento, dipende sia dagli obiettivi che si vogliono raggiungere sia dal livello di salute, età ed esperienza sportiva del praticante. Invece tra gli articoli sportivi più validi troviamo sicuramente il vogatore in quanto, oltre a permettere lo svolgimento di una attività aerobica, permette anche di irrobustire il busto, migliorando la respirazione e la tonicità addominale.
Alcuni studi hanno dimostrato che al termine di una sessione di 20 minuti di attività sportiva, nella maggior parte dei casi non si ha alcun desiderio di fumare o bere alcolici. In più la disciplina sportiva e il senso di benessere permettono di accrescere la motivazione nel perseguire il raggiungimento dei propri obiettivi, rendendo anche più disciplinati e aumentando le capacità di auto controllo e auto stima. Infine, mano a mano che arrivano i risultati, come la riduzione del peso o il senso di un miglioramento del benessere generale del proprio organismo, si crea una maggiore determinazione, mentre lo sviluppo delle endorfine permette di sconfiggere il senso di depressione o abbattimento che la mancanza delle sostanze tossiche in circolo alle quali ci si è assuefatti generalmente producono.
                                                                                                         



lunedì 10 ottobre 2016

E’ più importante il cardio, i pesi o l’alimentazione?



E’ più importante il cardio, i pesi o l’alimentazione?


Esistono differenti teorie e differenti piramidi che assegnano un grado di importanza maggiore o minore a ciascuno di questi tre elementi, ma siamo proprio sicuri che tale classificazione e tale rappresentazione siano corrette?
E’ più importante il cardio, i pesi o l’alimentazione?
Sin da quando ho iniziato ad appassionarmi al mondo del fitness la rilevanza dei vai elementi che determinano un risultato mi è stata presentata con una semplificazione geometrica. Le prime volte un triangolo equilatero dove, ciascun lato, rappresentava l’alimentazione, l’allenamento e il recupero, a indicare che ciascuno di questi aspetti aveva la medesima importanza ai fini del risultato. Via via questo triangolo è divenuto una piramide, figura estremamente intuitiva e alla quale siamo abituati, ad esempio quando parliamo di piramide alimentare individuando la corretta distribuzione che i vari alimenti dovrebbero avere in termini di quantità, ossia quali mangiare più frequentemente e quali con più parsimonia ai fini di un approccio salutistico.
Proprio ispirandosi al concetto di priorità mi sono recentemente imbattuto in piramidi differenti dove, ai fini del miglior risultato, veniva riportata la quota ottimale di lavoro cardio, di lavoro con i pesi, e la rilevanza dell’alimentazione. In particolare uno di questi schemi affermava che, mentre molte persone credono che il miglior risultato si ottenga con un grande lavoro aerobico (base della piramide), una discreta rilevanza alla corretta alimentazione (parte centrale), e una piccola dose di lavoro con i pesi (vertice della piramide), sarebbe invece più corretto ragionare in termini di una grande importanza all’alimentazione, a seguire un’ampia porzione di lavoro con i pesi, e una piccola dose di lavoro cardio.
Sebbene la piramide sia una figura geometrica a suo modo perfetta ed affascinante, mi sono chiesto se fosse davvero corretto continuare a utilizzarla per chiarire l’ottimale distribuzione degli elementi che favoriscono un allenamento ideale che, giocoforza, non può esistere in una forma assoluta, perché non esiste un allenamento “migliore” ma, come sempre sostengo, esiste un obiettivo (individuale per definizione) e di conseguenza un mix di elementi da dosare al fine di ottenerlo nel modo più efficace e nei tempi più brevi. E’ altrettanto necessario trovare una rappresentazione grafica che possa consentirne non solo l’immediata comprensione, ma che possa essere adatta a qualsiasi obiettivo, e che permetta di individuare cosa accade in termini di vantaggi e svantaggi aumentando o riducendo l’uno o l’altro elemento. Ebbene ritengo che occorra abbandonare il concetto di piramide e riferirsi invece al gioco del bilico, quello che probabilmente tutti abbiamo fatto da bambini almeno una volta.
Il lavoro cosiddetto cardio e l'attività con i sovraccarichi rappresentano le due forze in gioco lungo l'asse del bilico e, a seconda del loro peso, si determinerà un risultato differente, non migliore o peggiore, questa classificazione è soggettiva, chiedete ad un maratoneta quanto possa essere importante per lui il massimale su panca piana, o a un pesista la definizione addominale, o a un body builder il livello di soglia aerobica. Noterete che ciascuno ha obiettivi differenti, e quindi quantità e tipologia di attività da svolgere cambiano e non solo è riduttivo, ma mi permetterei di definire limitato e limitante, l'assegnazione di una priorità. Ecco perchè abbandonerei il concetto di piramide, tanto più se in questa piramide ipotetica vogliamo inserire anche l'alimentazione.
Sarebbe infatti semplicistico ritenere l'alimentazione un elemento più o meno importante rispetto al tipo di allenamento da svolgere, attribuendo quindi un suo ruolo predominante o secondario, sia esso in termini qualitativi o quantitativi. L’alimentazione rappresenta infatti una base, anzi LA base, senza la quale l’intero discorso svolto sino a qui non potrebbe reggere e, anche la rappresentazione grafica non avrebbe significato. Non è quindi necessario misurarne l'utilità rispetto a qualcos'altro poichè l'alimentazione rappresenta conditio sine qua non, una premessa indispensabile al fine di qualsivoglia risultato e, leggendo questa affermazione al contrario, a prescindere dalla bontà e dalla giusta dose di allenamento, senza una corretta alimentazione non è possibile assistere ad alcun risultato.
By GC